ALBEROBELLO
Alberobello è uno dei borghi più belli della Puglia in provincia di Bari; è conosciuto anche con il nome “Capitale dei trulli” proprio per la presenza dei suoi caratteristici trulli che rappresentano un modello di architettura spontanea, dichiarati Patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO, nel 1996.
Secondo la tradizione popolare il nome di Alberobello fu dato grazie ad un’antica quercia presente in quella zona, che si ergeva con maestosità.
I trulli, di cui Alberobello è ricca, sono un tipo di costruzione di pietra a secco, senza malta.
Ma come nascono queste casette bianche, dalla forma conica che fanno pensare agli gnomi delle favole?
I trulli più antichi di Alberobello risalgono al XV-XVI sec., periodo, in cui, la terra era disabitata e fu assegnata al Conte di Conversano Andrea Matteo III Acquaviva d’Aragona, che l’affidò ad una quarantina di famiglie di contadini affinché la coltivassero e la bonificassero, in cambio della decima del raccolto.
I Trulli nascono perché in quel periodo la terra era sotto il dominio del viceré spagnolo del Regno di Napoli, che esigeva tasse per ogni abitazione che si costruiva in queste terre, perciò si inventarono un modo del tutto nuovo di fare case e cioè con pietre, a secco, senza malta.
Questo permetteva di smontare e montare le casette, ogni volta che ce n’era bisogno e quindi di non pagare i tributi.[1]
Perciò ci viene facile immaginare queste costruzioni come giganteschi lego con la differenza che mentre i bimbi costruiscono case o oggetti in miniatura con i mattoncini, loro costruivano vere e proprie case grazie alla presenza abbondante di pietra calcarea, dal quale deriva il colore bianco di queste splendide casette. Il risultato è stato avere case non solo durature e stabili ma anche artisticamente belle.
I tetti sono abbelliti con pinnacoli decorativi che secondo alcuni erano la firma di chi li costruiva, secondo altri stavano ad indicare il grado di ricchezza che avevano e le loro forme erano simboli religiosi, pagani o profani.
Interessante sono alcuni pinnacoli riscoperti ultimamente a forma di stella di Davide.
Su alcuni tetti dei trulli si trovano disegni a volte religiosi altre volte profani come quelli che simboleggiano un buon auspicio per un buon raccolto.
Nel Rione Monti si possono ammirare ben 1030 trulli allineate lungo 8 stradine che portano alla chiesa di Sant’Antonio da Padova, anch’essa un trullo.
Se si vuole ammirare questa zona dall’alto, in piazza Giangirolamo c’è la terrazza di S. Lucia, che permette di godere del meraviglioso paesaggio fiabesco, e dove si può trovare l’ulivo delle colline di Gerusalemme, donato alla città dal Fondo Nazionale Ebraico “Keren Kayemeth Leisrael”, per l’ospitalità che offrirono agli ebrei durante le persecuzioni razziali, nella casa rossa.
Anche se questa fu adibita a campo di concentramento, in realtà tra la popolazione di Alberobello e i deportati nel campo c’era un’amichevole relazione come ho scritto in seguito.
Procedendo verso Piazza Antonio Lippolis si arriverà alla graziosa chiesetta a trullo, di Sant’Antonio, del 1927 fatta costruire dal sacerdote Antonio Lippolis.
Nella parte nord di Alberobello, nel Rione Aia Piccola, sorge il Trullo Sovrano, un trullo a due piani, alto 14 metri, che inizialmente fu costruito come tutti gli altri ma in seguito agli ampliamenti fu usata la malta.
Il trullo ospita un museo e in estate anche spettacoli teatrali, concerti e altri eventi culturali.
A pochi minuti dal Trullo Sovrano, sorge imponente la Cattedrale di Cosima e Damiano in stile neoclassico, del XIX sec. costruita su una chiesa già esistente.
Architettonicamente molto affascinante, dà l’idea di un piccolo castello, a renderlo di carattere religioso ci sono diverse raffigurazioni, tra cui quelle di Isaia, Geremia, Daniele ed Ezechiele. Non passano inosservate nemmeno le stelle a rilievo presenti sotto le arcate che fanno pensare al Maghen David.
Vicino a Piazza del Popolo, dopo Aia Piccola sorge Casa Pezzolla, un complesso architettonico unico nel suo genere, composto da 15 trulli comunicanti tra loro, oggi è la sede del Museo del territorio.
In via Monte Nero, vi è un’attrattiva interessante i “Trulli Siamesi”, perché sono due trulli uniti che un tempo avevano un’unica entrata. Si racconta che erano stati costruiti da due fratelli che, innamorati della stessa donna, in seguito ad una lite decisero di separare internamente i trulli e creare due ingressi separati.
Alberobello è stata più volte scelta come set cinematografico.
[1] G. Angiulli, I TRULLI DI ALBEROBELLO: LA DIFFUSIONE E LO SVILUPPO STORICO, su rivista SITI – Patrimonio italiano UNESCO, Associazione Beni Italiani Patrimonio Unesco, 29 marzo 2012.
LA CASA ROSSA
Lo scrittore, ricercatore e professore Ferorelli Nicola, annovera nel 1294, ad Alberobello ebrei convertiti al cristianesimo[1], anche se questa informazione lascia perplessi gli storici che affermano che Alberobello si sia sviluppata solo nella prima metà del XVII sec, tuttavia il Ferorelli in quanto archivista avrà sicuramente trovato prove a favore della sua tesi.
A tre chilometri dal centro di Alberobello, vi è la Masseria Gigante, conosciuta come “Casa Rossa” per via del colore delle mura esterne.
La storia della Casa Rossa è molto interessante: fu fatta costruire, nel 1887, dal sacerdote Francesco Gigante che la usò come scuola d’agraria[2].
Però durante la seconda guerra mondiale fu trasformata in campo di internamento e vide prigionieri di ogni tipo: indiani con passaporto inglese, una sessantina di ebrei [3], cecoslovacchi e polacchi.
Ciò fu possibile per via della grandezza, la casa infatti è su tre piani e ha 30 stanze di varie grandezze.
Gli ebrei internati erano prevalentemente tedeschi fuggiti dal Terzo Reich, che venuti in Italia con il visto di turista, in attesa di andare in Israele o in America, ci erano rimasti perché nel ‘40 l’Italia fece la sua dichiarazione di guerra.[4]
Nel campo-casa-rossa, non mancavano problemi economici, il cibo era razionato e contrariamente ai liberi cittadini, che potevano ricorrere al mercato nero, loro non potevano farlo, c’erano due cuochi ebrei che cercavano di rispettare le regole della kasherut (regole alimentari ebraiche) con non poca difficoltà.[5]
Nel campo c’erano anche ebrei ortodossi che tenevano nascosto due rotoli di pergamena della Torah (i 5 libri di Mosè).[6]
Gli internati cercavano di tenersi impegnati giocando a carte, a dama, a scacchi o andando a raccogliere funghi o fichi. Molti chiedevano e supplicavano di poter lavorare anche solo per un po’ di cibo, soprattutto per tenere la mente impegnata e non diventare pazzi.[7]
La maggior parte di loro erano medici, ingegneri, architetti, artisti come pittori e musicisti, industriali e commercianti.[8]
Il vice-commissario di Brindisi, Cesare Santini, che fu incaricato di controllare anche il Campo di Alberobello e che tanto teneva alla vita di questi poveri rifugiati, cercò di aiutare anche gli internati ebrei della casa rossa, per loro organizzava gite per distrarli dalle pene che in quel periodo gli sovrastavano e scambiava interessanti discorsi sull’ebraismo e le leggi religiose che molti di loro anche in situazioni così disperate, cercavano di rispettare.[9]
Ad Alberobello non mancavano cittadini che si offrivano di aiutare gli internati gratuitamente, come un panificio che si impegnò ad offrire pane o una sarta che si impegnò a cucire e rammentare i vestiti degli internati, gratuitamente. [10]
Tra i tanti prigionieri va ricordata la storia del musicista austriaco ebreo Charles Abeles, che fu ospitato a casa di un ricco proprietario di Alberobello di nome don Ciccio Nardone, che con il pretesto di dare lezioni di musica a sua figlia, se ne prese cura, si creò così un profondo legame tra i due, tanto che Abeles gli dedicò un componimento chiamato “La felicità”.[11]
Un altro “detenuto” ebreo fu un certo Marco di Roma che fu incarcerato prima delle leggi razziali e messo in libertà appena in tempo per ritornare a Roma e nascondersi nelle catacombe di una chiesa salvandosi grazie al sacerdote don Molvino, egli dirà della città: «Vorrei ringraziare tutto il paese di Alberobello perché sono stati veramente bravi e buoni. La prima volta che ho avuto contatto concreto con loro.. ebbi un’impressione perfetta, un aiuto sostanzioso, quel pane che mi serviva per vivere».[12]
Finita la guerra, tra il 1944 e il 1946, le cose si capovolsero e la Casa Rossa fu usata come prigione per i fascisti pugliesi.
[1] N. Ferorelli; GLI EBREI NELL’ITALIA MERIDIONALE dall’età romana al secolo XVIII; Arnaldo Forni Editore; Torino; 1915; p.46
[2] G. Angiulli, La Scuola Agraria “F. Gigante di Alberobello – Un secolo e più di vicissitudini – L’Istituto Tecnico Agrario di Stato “F. Gigante” – Cinquant’anni di vita feconda, Alberobello (A.G.A.), 2001, pag. 147
[3] Terzulli, F., Ebrei stranieri in un piccolo campo pugliese: Alberobello (1940-1942), in Ferramonti: Un lager nel Sud Atti del Convegno internazionale di Studi 15-16 maggio 1987, pp.118-141.
[4] F. Terzulli UNA STELLA FRA I TRULLI; Gli ebrei in Puglia durante e dopo le leggi razziali; Adda Editore; Bari 2002; P.48
[5] Ibidem, p.55
[6] Ibidem
[7] Ibidem
[8] Ibidem p.49
[9] Ibidem, pp. 60-63
[10] Ibidem, p 64
[11] A: https://www.corriere.it/spettacoli/21_gennaio_22/i-giorni-memoria-speciale-sky-ricordo-vittime-olocausto-1f8f0eaa-5c36-11eb-9e63-4c8bcf5518af.shtml
[12] http://www.historialudens.it/component/tags/tag/casa-rossa.html